Ezio Vendrame, l'editoriale di Roberto Vicenzotto

05.04.2020 09:59 di  Redazione TuttoPordenone   vedi letture
Fonte: Il Gazzettino di Pordenone - Roberto Vicenzotto
Disegno Milvio Piccolo
Disegno Milvio Piccolo

Mentre il giorno tramontando lascia un solco, ci vai a cena sulle stelle insieme al tuo amico poeta Piero Ciampi. E’ lui, stavolta, ad attenderti in piedi sopra un pallone. Come quello su cui salisti – con calzettoni abbassati e fermando una partita del Padova – per onorarlo della sua presenza allo stadio, venuto per te. A noi restano ricordi, a me persino quel cofanetto di musicassette opera omnia di Ciampi che mi regalasti, un quarto di secolo fa a casa tua a Casarsa. Interromperesti qui, so, anche perché associare casa e Casarsa ti contrariava. Si deve continuare, mentre la memoria diventa furfante. Non ti farai portare in quel cimitero dove hai dato appuntamento per un’intervista a Gianni Mura, davanti la tomba di Pier Paolo Pasolini:

La persona più viva di questo paese”, motivasti. Da Casarsa ti accompagna un’amicizia, quella con Enzo Piccoli. Ci rimangono ricordi e sentimenti ricambiati fino all’ultimo, anche per quei lustri in cui hai scelto di negarti. Passati in un buio che ti faceva rifiutare qualsiasi lume. Decretando che, cruccio personale anche con Mura, un’ombra ben presto sarai. Per dirla con Soriano.

“Quando la partenza è zoppa ti trascini invalido tutta la vita” scandivi. La palla sopra cui ti attende Piero Ciampi (sue le parole iniziali), è quella che hai cominciato a scalciare quando eri prima in orfanotrofio, in collegio poi. Colpita bene, nella traiettoria si leggeva il marchio di fabbrica, la tiravi forte a bucare la volta celeste e, a venire, l’immaginario di generazioni. Così si spiega perché a Vicenza sia sorta, nel nuovo millennio, la Brigata di tifosi che porta il tuo nome: non quello di Rossi campione del mondo – Pablito, come l’ha battezzato proprio Giorgio Lago con cui andavi d’accordo - né di Roberto Baggio pallone d’oro. Nel secondo Cd di Filippo Andreani resta incisa la tua chiusa da brividi. Gianna Nannini era ragazzetta quando giocasti per suo papà Danilo, presidente del Siena, contrada della Civetta. Non è civetteria tua, valicando confini atlantici, la citazione in libri sui “folli” del calcio mondiale. Internet è ricca di riferimenti a te.

Da una vita a precipizio, a Napoli ti hanno riconosciuto in galleria Umberto pochi anni fa. Lontano da quando ti allenavi a Fuorigrotta ed erano migliaia le persone che venivano a vederti. Con la gelosia di Vinicio. Seguivano gli allenamenti perché, come testimoniato dallo stesso Mura, molto dopo le cose che hanno visto fare a te con il pallone le hanno potute riammirare solo all’arrivo di Maradona. Così hai guadagnato quanto bastava per far rientrare tua mamma, emigrata a lavorare in Svizzera. Da Napoli sei migrato accompagnato dall’amicizia con Pino Daniele: due neri a metà. Nero e verde lo sei stato per poco in riva al Noncello, ma se lo ricordano bene tanti. Hai preparato Giovanissimi vincitori il titolo italiano, ma già avevi genitori che pensavano il loro pargolo Maradona.

Lì hai cominciato a sognare di allenare orfani, come vivesti con padre e madre vivi.

Lasci Fatima, che ti ha sostenuto fino al termine. Altre ti avevano amato, parentesi non solo di sesso: da loro ti sei distaccato rincorrendo la grande passione persino a Parigi. Donne anche prese in contropiede, come quando sei partito da centrocampo e, scartando compagni padovani e avversari cremonesi, ti sei presentato davanti al tuo portiere e hai fatto finta di calciare a rete. Ritroverai a cena sulle stelle pure quel tifoso, cui è letteralmente scoppiato il cuore in tribuna. Evitavi di ricordare quell’episodio, come il tunnel a Rivera a San Siro, riparato fermandoti e scusandoti con l’abatino. Arrabbiato diventasti quando ti sentisti fischiare dagli udinesi all’Appiani. Prima di tirare un calcio d’angolo, ti soffiasti il naso sulla bandierina e dichiarasti a gesti che da lì avresti segnato direttamente. Cosa che puntualmente accadde, più un altro gol nella stessa sfida. Più sorridente quando ripensavi alla partita vicentina con il Blackpool, ricca di randellate del mediano Wilkins. Reazione? Bacio in bocca e affondo con lingua.

Restano le tue righe di poesia, scritte e vissute, mentre la prosa viene sbattuta in faccia dalla notizia terminale. Niente di superfluo. Rimangono dipinti i quadri, sgraziati come questo saluto, terminale come il gol. Di te e dei tuoi libri ne disquisiscono nella rete in cui non eri caduto, appeso ad un telefonino anni ’90. Le poesie vanno rilette, ripensando a quello che non hai voluto fare, com’eri gioioso di essere infelice nel vivere. Rimane quanto fatto di bene ad altri senza sbandierarlo. Oramai, come dice Piero Ciampi, l’assenza è un assedio.