"Passione neroverde" a cura di Sergio Bolzonello: Essere Capitani #3, Enrico Rigo

"Passione neroverde" la rubrica curata da Sergio Bolzonello edita su Il Friuli propone un simbolo della rinascita del club cittadino: Enrico Rigo.
Le passioni possono "aiutarci" a superare questi difficili momenti. Vi trascrivo così il mio editoriale sul Pordenone calcio pubblicato su "Il Friuli"; un articolo dedicato ad un grande nostro capitano.
Scrivere di Enrico Rigo è scrivere di chi ha vestito i colori neroverdi per 14 stagioni, tre lustri, 5.110 giorni.
E’ scrivere di chi quei colori li ha portati dalla 1^ categoria alla C/2, entrando in campo per 336 volte assieme ai propri compagni e divenendo così, di gran lunga, il giocatore che più ha onorato la maglia del Pordenone Calcio.
La prima volta che ho visto Enrico tra i ramarri era il 1989 ed era un ragazzino di 17 anni che esordiva nell’Interregionale sotto la guida di Hamilton Soares Macedo ed aveva come presidente Giuseppe Peppino Bum Bum D’Antuono. L’ultima è stata nella primavera del 2003, in C/2, quando Ettore Setten decise che Treviso era un palcoscenico migliore della città del Noncello e lasciò la società a Lino Mungari, con tutto quello che ne conseguì.
E scrivendo queste righe, come in un déjà vu, ho pensato a Mauro Lovisa che invece Treviso l’ha rifiutata e ci ha portato in serie B, ma questa è un’altra storia ed un giorno la racconteremo.
Nel mezzo ci sono stati i campi della Promozione nel 90/91 e dal 93 al 95, della 1^ categoria dal 91 al 93, dell’Eccellenza nel 95/96 e della serie D dal 1996 al 2003.
Tre presidenti più uno onorario. D’Antuono per esordire e sprofondare, Bongiorno per ripartire, Rigo Senior e Setten per ambire. Ed un finale amaro. 336 vestizioni e una maglia che diventa una seconda pelle, con la consapevolezza di averle dedicato la propria gioventù.
E quando inizi a parlarne con Enrico capisci che gli incroci della vita avrebbero potuto portarlo su altre strade, con altri colori, ma che il fato ha scelto di farlo citare per sempre tra i grandi del Pordenone, perché i numeri non mentono mai. Ma andiamo per ordine.
Pulcini ed esordienti a Caneva ed ecco il primo incrocio.
A Casarsa il Milan organizza un “provino” e in quel bambino vede qualcosa, decide di portarlo sotto la sua ala, ma papà Pierantonio, che molti anni dopo diverrà anche il suo presidente, decide che Milano è troppo lontana e lui troppo piccolo.
Ad assistere a quel provino c’era anche un allora giovane dirigente dell’Udinese, Ariedo Braida, che lo porta tra i bianconeri e lì, all’ombra di Zico, trascorrono le stagioni dei giovanissimi e degli allievi.
Quando ho chiesto ad Enrico cosa ricordasse di quei quattro anni tra le giovanili dell’Udinese, lui, pronto, mi ha citato il vecchio campo Moretti dove si allenavano sia parte delle squadre giovanili che la prima squadra. Ogni tanto i ragazzini sfioravano Arthur Antunes Coimbra, detto Zico, ed era come stare in Paradiso.
Ma non è un gesto tecnico del campionissimo quello che più è rimasto impresso nella testa del ragazzino, ma un altro gesto: quello del magazziniere che si occupava, tra le altre, delle scarpe del Galinho.
La cura maniacale con cui le preparava e la consapevolezza che anche da quel dettaglio poteva dipendere una giocata, sono state un insegnamento che ha accompagnato Rigo per tutta la sua lunga carriera.
Dopo gli allievi una stagione a Sacile e poi l’approdo sulle rive del Noncello, nella Juniores.
E’ l’anno, fantasmagorico, in cui Peppino Bum Bum D’Antuono rileva la società da Gigi Moras dopo la retrocessione dalla C/2 e riesce, miracolosamente, ad iscrivere la squadra in Interregionale.
La rassegna stampa dell’epoca è prodiga di sue dichiarazioni che oggi fanno sorridere, ma che allora fecero allontanare più di qualche tifoso neroverde che aveva capito con chi ci si stava imbarcando la città.
Nel frattempo Bum Bum Peppino, cambia praticamente tutta la rosa e arruola, tra gli altri, due vecchie glorie che con la quarta serie non c’entrano nulla: Evaristo Becalossi e Gabriele Podavini, a cui aggiunse, anche se non arrivò mai il nulla osta della Figc e non poté far altro che allenarsi per qualche tempo, Dirceu Josè Guimaraes.
Il risultato della sua gestione fu che in due anni passammo dalla D alla 1^ categoria attraverso il fallimento della società.
Nessuno poteva immaginare che in quel gruppo di giocatori, che con Pordenone non c’entravano nulla, potesse essercene uno che ne sarebbe diventato la bandiera: Enrico Rigo.
Quando chiedo di quegli anni, Enrico si concede una pausa, accenna ad un sorriso e poi con la maturità dell’età mi dice: “Sai, avevo 17 anni e mi allenavo con Becalossi, Podavini e Dirceu, negli juniores avevo come mister Denis Mendoza che già mi aveva avuto a Udine e che credeva in me tanto da chiedere a Macedo di aggregarmi alla prima squadra e di farmi esordire. Tanto bastava, anche se era chiaro a tutti quelli che volevano guardare alla realtà che non c’era alcuna fondamenta e che la casa sarebbe crollata.
Però ho imparato molto e molto mi sono divertito.”
Ed è così che mi racconta di Dirceu che, come molti calciofili ricordano, aveva un gran piede e la classica “lecca” su punizione.
Al termine degli allenamenti, com’è consuetudine, si fermava in campo a provare le punizioni e, non essendoci le sagome, mister Macedo metteva i ragazzi della juniores a formare la barriera.
Dopo un paio di sedute e qualche “contuso”, Dirceu disse a Macedo che i ragazzini dovevano assistere per imparare come si calciava, non per essere dei bersagli.
Si guadagnò la gratitudine dei più giovani e, soprattutto, fu un insegnamento per Enrico.
Così come fu istruttiva la sua permanenza in uno spogliatoio che vedeva le due primedonne, reduci da carriere prestigiose, non amarsi troppo per usare un eufemismo.
Una volta aggregato definitivamente alla prima squadra ad Enrico venne assegnato il posto tra Beccalossi e Podavini, lì capì come sia impossibile puntare a qualsivoglia obiettivo se non c’è unità d’intenti dentro uno spogliatoio, se poi non c’è neppure la società allora il fallimento è la logica conseguenza. Archiviata la tragica parentesi di D’Antuono, il Pordenone Calcio riparte dalla 1^ categoria con Sante Bongiorno presidente, ci rimane per un biennio ed approda in Promozione nella primavera del 1993.
Nel 93/94, grazie a Gastone Espanoli, si gettò le basi per una ricostruzione dello spogliatoio e per l’arrivo, il 6 luglio 1994 dell’accoppiata Ettore Setten – proprietario e presidente onorario – Pierantonio Rigo – presidente.
Si iniziò a ripensare in grande.
Ma come accolse Rigo Junior l’arrivo del padre quale presidente?
Anche in questo caso Enrico si concede un attimo prima di rispondere.
Poi: “Sai, dopo cinque anni di ottovolante come quelli appena passati, unico ad averli fatti tutti, vedere la proprietà nelle mani di un industriale con mezzi e con dichiarate ambizioni, ti fa pensare che finalmente sei in un progetto pensato per vincere, non per galleggiare o, ancor peggio, senza futuro.
Per contro sei consapevole che alla presidenza c’è tuo padre e che questo non ti aiuterà come calciatore.
Ho pensato di andarmene, sapendo che le pressioni sarebbero state enormi e che avrei dovuto dare sempre il 200% per dimostrare che giocavo perché lo meritavo, non perché ero il figlio del presidente.
Fu Espanoli ad obbligarmi a rimanere e lo rifece alcuni anni dopo quando mi chiese un’importante società di C.
Non me ne sono mai pentito, anche se in alcuni momenti fu molto difficile, com’era facilmente prevedibile.”
Qui iniziamo a farci prendere dai ricordi, i miei di tifoso ed i suoi di protagonista di quei 9 anni che furono una bella parentesi per i colori neroverdi con campionati di vertice in D e bel calcio in campo.
E così con Enrico ricordiamo la rosa del primo anno dell’era Setten-Rigo: Bullara, Pellarin, Gremese, Mazzolo, Perosa, Rigo, Della Flora, Marson, Buffa, Marzio e Michele Giordano, Cordenons, Cicagna, Capasa, Cleva, Cesarin, Pentore e quel Mauro Lovisa che avrebbe fatto la storia del Pordenone portandolo in B da presidente.
A guidarli Tita Da Pieve. E via via tutte le altre.
Nomi che escono come filastrocche e che, come abbiamo fatto con i primi facciamo con gli ultimi, quelli della C/2 del 2002/03: Peresson, Marin, Anderson, Bari, Braidotti, Lizzani, Rigo, Stancanelli, Striuli, Trangoni, Valoppi, Baiana, Barbisan, Calvio, Favero, Mini, Pasa, Pittana, Rostellato, Pedriali, Piperissa, Sessolo, Toncev, Temporini, Verillo. All. Fedele
Striuli e Stancanelli i difensori più forti con cui abbia giocato, ma è su un nome che abbiamo indugiato e ci siamo fatti prendere da quella nostalgia che solo i grandi sanno suscitare quando escono di scena, quello di Daniele Pasa. Sicuramente uno dei più forti, forse il più forte, giocatore che abbia calcato il prato del Bottecchia negli ultimi 40 anni.
Qui Enrico esprime tutta la sua ammirazione per quello che definisce “maestro di calcio e uomo di grande sensibilità, con addosso una corazza a proteggere quella timidezza invisibile”. Dico a Rigo che tra i miei cimeli più cari c’è la maglia di Pasa, con il n. 10, indossata in quel Cordignano Pordenone che sancì la promozione in C/2 al termine della stagione 2001/02 e lui, con un po' di amarezza, mi risponde: “l’unica partita che non ho giocato, per infortunio, di quella magnifica stagione.”
Sono andato a controllare gli annali che oltre a recitare Pordenone primo con 71 punti, 34 G, 21 V, 8 N, 5 P, 64 GF, 32 GS, +32 DR, recitano “Rigo Enrico 33 presenze su 34”.
Dovrei ancora raccontare del suo saper giocare a “testa alta” o del suo saper “randellare” quando serviva.
Del dispiacere nel lasciare i Ramarri dovuto alle scelte di Setten o di come abbia gestito una carriera convivendo con lo stress pre e post gara e giocandone una buona parte con i legamenti della caviglia “mezzi andati” come si dice in gergo, ma sono andato lungo e lo spazio concessomi si esaurisce. Resta il piacere di aver ricordato 14 stagioni della storia del nostro Pordenone e di un ragazzino di diciassette anni che si è fatto uomo con la maglia neroverde addosso.
Ed infine e come sempre:
“Forza Ramarri, forza Neroverdi, forza forza Pordenone!”